Discesa estrema con gruppo internazionale in Svizzera
Oberland Bernese
Siamo già al di sopra dell’alpeggio di Gamchi, cominciamo a trovare la prima neve,
quota circa 1800 m. Caracal e Manu seguono.
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In fondo all’alpeggio si vede questa fenditura in mezzo all’erba, nessuno di noi conosce questo percorso.
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La forra continua al di sopra tra le rocce ma non si riesce a vedere niente dentro. |
Un camoscio solitario vicino al sentiero riesce a trovare qualche filo d’erba in mezzo alla neve.
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Evan segue bene, bisogna fare attenzione al ghiaccio sul sentiero nascosto sotto la neve.
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Qui ci saranno 20 cm di neve polverosa, e gli sci ?, dal sassone si scende a destra sul ghiacciaio fino a raggiungere la bocca più a destra. |
L’interno del ghiacciaio e sotto vista verso l’esterno. |
Caracal ispeziona il punto dove inizia la discesa. |
Manu si sistema
prima di iniziare la prima calata, il canyon è veramente carino
ma la
temperatura è sotto lo zero. Sotto Evan aspetta.
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Un bel ghiacciolone è sospeso sopra la ns testa come una spada di Damocle. |
Con la terza calata raggiungiamo il corso d’acqua principale |
Anche qua il ghiaccio non manca, bisogna tenere gli occhi aperti, molti blocchi sono già caduti.
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Dopo un pezzo
facile e largo si arriva ad affacciarsi su uno sprofondamento pieno di
macigni.
Oltre il canyon sembra chiudersi del tutto e rimane solo un
buco nero in fondo.
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Le pareti verso
l’alto salgono circa 80 metri, verso il basso non si vede niente,
questo posto lo potrei paragonare alle Porte di Moria, troppo
impressionante!
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Look down.... |
Ok ci caliamo ma non si vede niente, sistemiamo l'ancoraggio e accendiamo le frontali... |
Caracal scende,
visto dal basso.
Sono esattamente 60 metri di calata
praticamente al
buio. In fondo
è come nel Cormor, buio totale !!
Siamo in balia della
forra.
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Una foto di
Holzi fatta con il faro durante la discesa successiva
quando sono venuto
a rifarlo. Dentro si fanno diverse calate sempre al buio.
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Dopo il buio si arriva in un lungo e profondo corridoio.
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Sulla via del ritorno, questa mattina c’era il sole ma ora è tutto grigio. |
4 Ottobre
2009
RACCONTO
Gamchi, una parola, un
mistero. Oggi partiamo per questo canyon di cui sappiamo poco. E’ sempre
bello partire senza sapere niente di una discesa. Tante incognite che
fanno salire la tensione e l’attenzione. Certo trovare il limite che
distingue la pura demenza dalla ricerca di qualcosa di diverso o
cosiddetto “estremo” è troppo difficile, almeno per me.
Ho dormito bene ma mi sono
anche svegliato in preda ad un incubo, sai di quelli dove al buio
precipiti, o finisce la corda a metà calata e resti con 10 cm di corda
in mano che ti sta per scappare fuori dell’otto, oppure il compagno
capisce male i segnali e ti cala giù a infilzarti in qualche tronco.
Vabbè andiamo a vedere stò
Gamchi, l’orco dell’Oberland Bernese. Qualche informazione l’abbiamo
racimolata: qualche foto dal sito di Andreas Brunner lo “svizzero
pazzo”. Da queste si deduce che:
-Si parte dalla bocca del ghiacciaio calandosi subito nel canyon...
-C’è ghiaccio...
-C’è buio perché usano tutti le frontali...
Una laconica mail di
Andreas mi dice la calata più alta: 60 metri, punto e a capo. Altro che
chiacchiere interminabili in stile italiano.
Siamo in 4: io, i Francesi Manu da Nancy, Caracal da Marsiglia e il Gallese Evan Jenkins da Londra.
Raggiungiamo la Griesalp,
quota 1400 m, sulla strada a pedaggio. L’avvicinamento continua ancora
su strada e dopo su un comodo sentiero fino all’alpeggio di Gamchi, 1672
m. Paesaggio svizzero doc in tutte le direzioni con la montagna ben
innevata sopra i 1800 metri. Heidi dove sei ? Da qui si prosegue a
salire passando diversi tratti ricoperti di ghiaccio dove non si può
sbagliare, meglio avere gli scarponcini da montagna perché le scarpe da
canyon non sono indicate. Salendo arriviamo al livello della neve e per
una mezzora si cammina in 20 cm di polvere bianca. Da Gamchi in su si
vede già il canyon con le sue peculiarità: stretto fino all’ultimo dove
sbuca nella piana dell’alpeggio. Racchiuso tra pareti alte, non si vede
il fondo perché strettissimo o in alcuni punti del tutto occluso da
rocce. Dopo un percorso a Z il canyon raggiunge il ghiacciaio, ci
dirigiamo lì seguendo il sentiero turistico, nella neve, segnato con
paletti. Bisogna salire più alti e ridiscendere sul ghiacciaio. L’ultimo
problema è raggiungere l’inizio del canyon perché il ponticello estivo è
già stato rimosso, ci tocca salire sul ghiacciaio per aggirare la prima
larga forra priva di interesse e raggiungere il punto di partenza dove
il canyon è molto stretto e subito ben modellato. Ho portato “big boy”,
la macchina foto grossa, al buio però non potrò comunque fare niente.
C’è qualcosa che non
quadra, il ghiacciaio si è ritirato di 50 metri e si inizia nel canyon
direttamente senza calate. La cosa più strana è trovare un canyon a 2000
metri mentre di solito il bello delle gole si trova sempre alla fine
delle valli. Siamo forse in un mondo al contrario? Caracal si dilunga in
lezioni di glaciologia, toponomastica, orientamento, ecc, forse deve un
po' tranquillizzarsi ma l’ambiente non è per niente rilassante. Evan
parla a manetta e non capisco la metà di quello che dice, Manu non
riesce a mettere la muta da solo...ufff.
Ok, dopo le foto di rito e
visita “turistica” nella grotta di ghiaccio iniziamo, siamo belli
impacchettati nel neoprene, quasi troppo, tutti con muta umida e
sottomuta, Manu è sempre l’ultimo a prepararsi, una costante.
Si comincia rotolando nel
canyon su neve e ghiaccio che ricoprono tutto, l’acqua scorre poca ma
almeno dentro non si scivola, passiamo una pozza in arrampicata e dopo
tre calate ci riportiamo fuori da questo primo stretto budello largo la
massimo due metri. Ci sono varie “spade di Damocle” sopra le nostre
teste, sono stalattiti di ghiaccio e si vede che non sono molto solide.
Si scende a raggiungere il canyon principale dove si procede “facilmente”, le pareti sono anche qui piene di ghiaccioli sospesi, tanti blocchi sono già caduti dove passiamo noi.
Siamo in mezzo a due pareti
alte fino a 50 metri, si direbbe un “gran canyon” ma forse sto già
delirando, tutto quello che vedo mi sembra grande e superlativo.
Pian piano il pendio
comincia scendere in un gran caos di blocchi, installiamo una calata e
raggiungiamo un bel chiodo da dove si raggiunge il fondo del caos. Qui
le pareti ai lati sono alte circa 80 metri e il canyon si chiude di
colpo, da 15-20 metri diventa 2-3 metri per tutta l’altezza, una
fenditura molto inquietante ma altrettanto eccitante. Più stretta = più
eccitante ;-) Lo paragonerei alle Porte di Moria senza bisogno di
utilizzare molto la fantasia, è veramente pazzesco.
Sistemiamo l’ancoraggio e
Evan si prepara a calarsi, manda giù 15 metri corda, fischietto pronto.
Quasi subito si sentono i 3 fischi, ok inizio a calare, e cala cala
cala, dopo un minuto ancora niente, cala cala cala., dopo 2 minuti
niente, ma la corda sta per finire, ne rimangono forse 10 metri su 70 e
si sentono i due fischi, ufff è andata, fare una giunzione non è mai
simpatico.
Ok scendo io. 15 metri e
raggiungo la cascata, subito è buio totale e mi ritrovo nel vuoto sotto
il getto, saranno 80 litri/sec. Ho la frontale accesa ma non vedo
niente, l’acqua mi strappa dal casco la pila e me la ritrovo al collo.
Bé cambia poco perché si vede solo acqua da tutti i lati, non tocchi la
pareti, un minuto di assoluto smarrimento con l’acqua che martella sulla
testa, non sai dov’è il davanti e il dietro del canyon, non vedi il
fondo, solo l’alto sai dov’é perché l’acqua ti randella sul casco. Forse
l’incubo notturno mi anticipava questo passaggio... Un minuto e sono
giù, la corda finisce precisa e ritrovo Evan nascosto dietro un
meandro. La sua discesa è stata molto peggiore della mia, è rimasto due
minuti sotto l’acqua urlando dentro di sé, cala, cala con varie
espressioni di contorno in Gallese che è la sua vera origine. Inoltre
l’acqua gli ha proprio strappato la luce anche dall’elastico per cui è
sceso nel buio totale fino a trovare a tastoni il fondo...!!!. Ho una
pila di scorta e gliela do subito, la sua è persa per sempre nel buio.
Scende Caracal, stavolta ammutolito, dopo ricomincia a parlare e
spiegare, fa il professore di lavoro, ma oltre i 50 cm di distanza non
si sente niente, fiato sprecato. Scende Manu, lui ha la frontale speleo
avvitata sul casco e non la perde. Recupero corda con maniglia, ok e si
procede. Siamo a 60+80=140 metri circa di profondità in mezzo all’acqua
nebulizzata, quindi niente foto. Siamo nel tratto completamente occluso
da rocce e frane, buio totale.
Qui ci sono piccoli
dislivelli e poca marcia, il canyon è largo un paio di metri al massimo,
pareti liscissime e meandreggianti che si allargano e si stringono
secondo il disegno naturale delle marmitte. I chiodi sono messi bene ed
hanno retto le piene primaverili. C’è poco da dire, andiamo avanti in
automatico, siamo immersi nel ventre della montagna, dentro nell’orco,
per le comunicazioni indispensabili si urla da vicino perché è tutto
assordante, siamo avvolti nell’acqua che riempie il fondo del canyon ma
anche l’aria. Altre due calatine in sequenza e arriviamo su una grande
cascata. L’acqua schizza allargandosi da tutte le parti, un pò di luce
filtra, più che altro sembra un raggio di luna smorto. Comunque riesco
solo a capire che è alto, niente di più. Installo la corda e spedisco
giù Evan, sa già cosa l’aspetta... sento tre fischi e inizio a calare ma
la corda resta molle !!! Non vedo più luce né altro, inizia lo stress,
aspetto un pò, chiamo Manu e lo spedisco giù a vedere cosa succede.
Scende e sento i due fischi, tutto ok!!! (Evan era solo “inciampato nel
fischietto”). Passa Caracal e dopo scendo io con due sacchi sul gobbo,
per fortuna l’acqua si disperde e non è così brutta, sono 30 metri.
Passo un meandro largo mezzo metro e trovo Manu che sta attrezzando, qui
il chiodo seppure riparato è stato del tutto piallato a zero
dall’acqua. Siamo affacciati su una cascata di 15 metri, entra più luce
dall’alto insieme ad una bella cascata che sembra portare la luce con sè
verso il basso, così dice Caracal, adesso è anche poeta!
Sotto,
la piazzetta di arrivo nella cattedrale di luce è triangolare, abbiamo
forse trovato il triangolo delle bermude ? Qui la forra cambia direzione
a 90 gradi verso sinistra, diventa più larga, 2-3 metri, e si cammina
facilmente ad un centinaio di metri di profondità. Capiamo di essere
nell’ultima parte rettilinea che va a sbucare nell’alpeggio. Ancora un
paio di sorprese, un sifone basso e una strettoia ci obbligano a
strisciare sotto come dei marines. Siamo fuori!! Caracal prende gli
ultimi appunti e ci stringiamo la mano. Gli aggettivi superlativi non
bastano, si parla di Mlinarica per il calatone, di Cormor per il buio e
di Trummelbach per il freddo ed il ghiacciaio, una summa dei tre e ci si
può fare un’idea. Il percorso, per fortuna, non è troppo lungo (3,15 h
per noi) ma regala emozioni forti e impagabili. Ora non ci resta che
trovare qualcos’altro di peggio.. o meglio, dipende dal punto di vista !